Partecipazione!
Una parola, tanti
modi di interpretarla. Ognuno cerca la sua strada e in questa ricerca può
capitare che si abbandoni la strada dritta per altre più tortuose. Fino a che
si sta sui concetti generali tutto bene, ma quando ci si cala nella realtà
concreta vengono fuori punti di vista diversi. A Roma ci sono centinaia di
comitati che ogni giorno interagiscono con le amministrazioni locali, comune e
municipi, ma la partecipazione è ben lontana dall’essere una modalità ordinaria
che entra a far parte dei processi decisionali pubblici; è ben lontana, cioè,
dall’essere la strada dritta aperta a chiunque la voglia percorrere.
La partecipazione vuole
semplicità e schiettezza e a Roma si pratica, ma quando si tratta di fissare un
quadro di norme che la rendano più facile e più stabile capita che si finisca
per complicare le cose. Come? Affrontandola come se si trattasse di costruire
una relazione tra un’azienda o un soggetto amministrativo e l’ente locale.
Ed
ecco che spuntano richieste di registrazione in appositi albi, ecco che si
sente la necessità di un codice fiscale o di una partita Iva, ecco che si
avverte la necessità di predisporre un filtro per selezionare chi vuole
partecipare. Il tutto risponde ad un criterio sbagliato: quello di mettere a
disposizione dell’amministrazione locale un soggetto certificato e autorizzato a
parlare in nome dei cittadini.
In alcune zone della città è già prevista anche l’elezione
dei CdQ a conferma di una tendenza ad incanalare la partecipazione verso pochi
soggetti che assumerebbero un profilo paraistituzionale carichi di
responsabilità e di doveri verso gli stessi cittadini.
È uno schema che può rassicurare
l’amministrazione locale perché la pone di fronte ad un interlocutore
riconosciuto e riconoscibile, ma che rischia di gravare sugli stessi CdQ come
un peso.
La partecipazione, semplice e schietta, invece, ha senso se prevede la
massima apertura a tutti i cittadini. Che esistano soggetti organizzati è
ovviamente un bene, ma questo non può costituire uno sbarramento verso il
coinvolgimento di tutti. Tra l’altro non si può non dare voce anche a coloro
che non intendono aderire ad alcun comitato e non vi è alcuna certezza che
soggetti dotati di statuto, registrazione, codice fiscale siano poi
effettivamente rappresentativi.
Insomma è proprio l’approccio che
è sbagliato perché non mette al centro i principi e il metodo della
partecipazione. Ciò che conta, infatti, è che ogni problema sia affrontato con
il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati costruendo insieme le sedi e
gli strumenti più adatti partendo da un contesto pubblico per accedere al quale
non ci sia bisogno di certificare la propria idoneità con registrazioni,
statuti, codici fiscali. Sarà il confronto stesso a fare emergere le possibili
soluzioni la cui attuazione resterà compito affidato all’ente locale.
Per fare questo, però, è
necessario affrontare il tema di un regolamento della partecipazione per Roma
capitale che sia da modello per tutti i municipi e che scaturisca esso stesso
da un processo partecipativo. Questa è la strada dritta per impostare bene il
tema della partecipazione a Roma. La ricerca, comunque in corso e comunque
positiva, di risposte parziali, municipio per municipio o addirittura quartiere
per quartiere avrebbe bisogno di un quadro di riferimento nel quale si possano
riconoscere le amministrazioni e i cittadini.
Claudio Lombardi
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