giovedì 25 giugno 2015

Una partecipazione per Roma




Partecipazione!
 
Una parola, tanti modi di interpretarla. Ognuno cerca la sua strada e in questa ricerca può capitare che si abbandoni la strada dritta per altre più tortuose. Fino a che si sta sui concetti generali tutto bene, ma quando ci si cala nella realtà concreta vengono fuori punti di vista diversi. A Roma ci sono centinaia di comitati che ogni giorno interagiscono con le amministrazioni locali, comune e municipi, ma la partecipazione è ben lontana dall’essere una modalità ordinaria che entra a far parte dei processi decisionali pubblici; è ben lontana, cioè, dall’essere la strada dritta aperta a chiunque la voglia percorrere. 

La partecipazione vuole semplicità e schiettezza e a Roma si pratica, ma quando si tratta di fissare un quadro di norme che la rendano più facile e più stabile capita che si finisca per complicare le cose. Come? Affrontandola come se si trattasse di costruire una relazione tra un’azienda o un soggetto amministrativo e l’ente locale. 
 
Ed ecco che spuntano richieste di registrazione in appositi albi, ecco che si sente la necessità di un codice fiscale o di una partita Iva, ecco che si avverte la necessità di predisporre un filtro per selezionare chi vuole partecipare. Il tutto risponde ad un criterio sbagliato: quello di mettere a disposizione dell’amministrazione locale un soggetto certificato e autorizzato a parlare in nome dei cittadini. 

In alcune zone della città è già prevista anche l’elezione dei CdQ a conferma di una tendenza ad incanalare la partecipazione verso pochi soggetti che assumerebbero un profilo paraistituzionale carichi di responsabilità e di doveri verso gli stessi cittadini.
È uno schema che può rassicurare l’amministrazione locale perché la pone di fronte ad un interlocutore riconosciuto e riconoscibile, ma che rischia di gravare sugli stessi CdQ come un peso. 

La partecipazione, semplice e schietta, invece, ha senso se prevede la massima apertura a tutti i cittadini. Che esistano soggetti organizzati è ovviamente un bene, ma questo non può costituire uno sbarramento verso il coinvolgimento di tutti. Tra l’altro non si può non dare voce anche a coloro che non intendono aderire ad alcun comitato e non vi è alcuna certezza che soggetti dotati di statuto, registrazione, codice fiscale siano poi effettivamente rappresentativi.

Insomma è proprio l’approccio che è sbagliato perché non mette al centro i principi e il metodo della partecipazione. Ciò che conta, infatti, è che ogni problema sia affrontato con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati costruendo insieme le sedi e gli strumenti più adatti partendo da un contesto pubblico per accedere al quale non ci sia bisogno di certificare la propria idoneità con registrazioni, statuti, codici fiscali. Sarà il confronto stesso a fare emergere le possibili soluzioni la cui attuazione resterà compito affidato all’ente locale.

Per fare questo, però, è necessario affrontare il tema di un regolamento della partecipazione per Roma capitale che sia da modello per tutti i municipi e che scaturisca esso stesso da un processo partecipativo. Questa è la strada dritta per impostare bene il tema della partecipazione a Roma. La ricerca, comunque in corso e comunque positiva, di risposte parziali, municipio per municipio o addirittura quartiere per quartiere avrebbe bisogno di un quadro di riferimento nel quale si possano riconoscere le  amministrazioni e i cittadini.
Claudio Lombardi

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