di Alessandro Giangrande
Un po’ di
storia
Il sindaco di Roma Francesco Rutelli, all’inizio
del suo primo mandato (1996), istituisce l’Assessorato alle Politiche per le
Periferie, lo Sviluppo Locale e il Lavoro che avvia una serie di progetti e
politiche che pongono al centro il coinvolgimento degli abitanti, proponendosi
d’integrare la progettazione tecnica con l’accompagnamento sociale. Fra le
iniziative dell’Assessorato è particolarmente rilevante la creazione dell’Ufficio
Speciale Partecipazione e Laboratori di Quartiere (USPEL), la cui direzione è affidata
all’arch. Mario Spada.
L’USPEL, tra il 1966 e il 2001, attiva percorsi di
formazione sulla progettazione partecipata per i dipendenti comunali e
istituisce in via sperimentale diciannove Laboratori Municipali (LMQ), ubicati
in altrettanti quartieri o rioni di Roma. Verso la fine del 2001 l’USPEL, riassorbito
nella U.O. IV Sviluppo Locale Ecocompatibile Partecipato del Dipartimento XIX
del Comune, cessa di fatto esistere. Alcuni Laboratori continueranno a operare
per qualche tempo, ma l’Amministrazione non ne riconoscerà più le attività svolte
nel loro ambito.
Il
Laboratorio Municipale Marconi-Ostiense e la riqualificazione di via Papareschi
Il Laboratorio Marconi-Ostiense – il secondo istituito
dopo il Laboratorio Esquilino – era ospitato in uno spazio non utilizzato della
scuola media Albert Einstein di via Gherardi, nel quartiere Marconi. Lo spazio
era dotato di un grande tavolo, numerose sedie e alcune attrezzature
informatiche fornite dall’Amministrazione. Due tecnici, su incarico del Comune,
gestivano a turno le sessioni di lavoro del Laboratorio che si svolgevano con
cadenza settimanale ed erano aperte a tutti i soggetti interessati a
partecipare.
Il Laboratorio sperimenta da subito alcuni metodi
per migliorare la comunicazione tra cittadini e Amministrazione e facilitare la
partecipazione degli abitanti allo sviluppo di progetti che perseguono
obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale.
La riqualificazione di via Papareschi è il progetto
più interessante realizzato dal Laboratorio.
Via Papareschi è una strada consortile privata a
uso pubblico, tra le più antiche del quartiere Marconi. Intorno agli anni ’40 era
attraversata ogni giorno da migliaia di lavoratori che si recavano
all’insediamento industriale della Mira Lanza. A quel tempo la strada era
alberata e contornata da edifici residenziali di buona fattura, dove abitavano
i dirigenti della società. Cessate le attività, i dirigenti abbandonarono le loro
abitazioni.
All’inizio del processo partecipativo, sulla strada
si affacciano tre scuole, un centro anziani, due case abbandonate e alcuni
edifici occupati da strutture sanitarie e militari. La strada presenta
condizioni di degrado diffuso: sporcizia, assenza di marciapiedi e di segnaletica
stradale, autovetture parcheggiate lungo entrambi i lati della strada, ecc. Un vecchio capannone, situato di fronte alla
scuola elementare Giovanni Pascoli, stava per essere trasformato in centro
commerciale con annessi due piani di parcheggi dotati di rampe d’ingresso e di uscita
poste a pochi metri dall’entrata della scuola elementare. Pochi mesi prima un’insegnante
era morta per salvare la vita di alcuni alunni che rischiavano di essere
investiti da un camion.
Il processo
di progettazione partecipata (maggio-settembre 1999)
Per ridurre il degrado della strada e migliorare la
sicurezza dei pedoni il Laboratorio decide di trasformare via Papareschi in “strada
residenziale”.
I requisiti che contraddistinguono una ‘strada
residenziale’ sono:
•limiti severi di velocità per tutti gli automezzi
motorizzati, con conseguente riduzione del numero e della gravità degli
incidenti stradali e dell’inquinamento, atmosferico e acustico
•specifiche misure di moderazione del traffico atte a
proteggere gli utenti più vulnerabili (bambini, anziani e disabili)
•presenza di spazi verdi e arredi urbani che moltiplicano
le occasioni d’incontro e la comunicazione sociale.
Al progetto di trasformazione di via Papareschi partecipano,
oltre ai due tecnici comunali, alcuni consiglieri
e funzionari del Comune; il presidente della XV Circoscrizione; un
rappresentante della società GESP, proprietaria del centro commerciale e socio
di maggioranza del consorzio di gestione della strada; i proff. Alessandro Giangrande
ed Elena Mortola, docenti della Facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre,
esperti di metodi di progettazione partecipata; alcune decine di abitanti del
quartiere che si costituiscono in associazione per operare come soggetto forte
e facilmente riconoscibile.
La società GESP, in vista dell’imminente apertura
del centro commerciale, si era impegnata con l’Amministrazione a realizzare a
proprie spese un nuovo marciapiede per proteggere i pedoni dal traffico
automobilistico che sarebbe prevedibilmente aumentato dopo l’apertura del nuovo
centro. Il Laboratorio ricusa il
progetto, ritenuto del tutto insufficiente e incoerente con le volizioni degli
abitanti, e avvia il processo di partecipazione (maggio 1999).
Le discussioni che hanno luogo in tutte le fasi del processo portano gradualmente
i partecipanti a condividere valori e schemi progettuali, superando le
divergenze iniziali.
La proposta progettuale finale è condivisa dalla
stragrande maggioranza dei partecipanti perché “a somma positiva”, cioè capace
di rispettare i valori e gli interessi di tutti.
Nel progetto finale l’impatto generato dal traffico
veicolare è drasticamente ridotto grazie all’introduzione, in corrispondenza con
l’ingresso principale della scuola Pascoli, di una nuova area riservata ai
pedoni che interrompe la continuità della strada, dividendola in due tratti
separati.
La proposta è riconosciuta valida anche dalla
società GESP che decide di finanziare interamente il progetto, sostenendo costi
molto superiori a quelli che sarebbero occorsi per realizzare il progetto
presentato in precedenza.
La realizzazione del progetto (ottobre 1999 - febbraio
2000)
Il Laboratorio cura la realizzazione del progetto
elaborato nel suo ambito.
Tutte le opere di urbanizzazione primaria sono attuate
dai rispettivi enti competenti (ACEA, ENEL, ITALGAS, TELECOM): i tecnici
comunali coordinano i diversi interventi, per evitare che fosse necessario apportare
modifiche e rifacimenti in corso d’opera o a opera completata.
Nelle zone pedonali la pavimentazione è realizzata
in masselli autobloccanti in calcestruzzo posti in opera con adeguato
allettamento su sabbia fine. In prossimità della scuola Pascoli vengono
realizzate tre aiuole contornate da sedute in muratura con copertina di
travertino. L’Ufficio Giardini del Comune fornisce la vegetazione, un mix di
arbusti aromatici che sono piantumati nelle aiuole, e una serie di vasi che vengono
collocati lungo i bordi dell’area riservata ai pedoni. I genitori della scuola
elementare si rendono disponibili a curare, anche per il futuro, la
manutenzione della vegetazione della strada. La nuova segnaletica di via
Papareschi e delle strade adiacenti è realizzata a cura del Comune.
Le figure seguenti mostrano la strada prima e dopo l’intervento.
La “strada residenziale” – la prima a
essere realizzata a Roma – viene inaugurata il 15 febbraio.
La festa d’inaugurazione vede la partecipazione di numerosi abitanti del quartiere, del Rettore e di alcuni membri del Senato Accademico di Roma Tre, di consiglieri e funzionari del Comune e della Circoscrizione.
La festa d’inaugurazione vede la partecipazione di numerosi abitanti del quartiere, del Rettore e di alcuni membri del Senato Accademico di Roma Tre, di consiglieri e funzionari del Comune e della Circoscrizione.
Un’esperienza troppo breve
Come mai i LMQ di
Roma hanno avuto una vita così breve?
Tra le possibili risposte
ne scegliamo una che ne sottintende altre: l’esperimento
dei LMQ è stato interrotto perché mancava una vera cultura della partecipazione
sia nell’ Amministrazione, sia in un parte della società civile.
La fine dell’USPEL e
dei LMQ è una conseguenza dal fatto che il Comune, nella maggioranza dei
rappresentanti eletti e dei suoi funzionari, paventava che l’esperienza potesse
diventare il tramite di diffusione di una vera cultura della partecipazione. E’
questa la ragione per la quale ai Laboratori, dopo il 2001, non è stato più concesso
di operare come realtà capaci di creare un rapporto stabile e continuativo con
i contesti locali, ma solo come una task
force in grado di intervenire in situazioni specifiche.
Questo modo di
concepire la partecipazione – che ancora oggi prevale all’interno dell’Amministrazione
– sottende a una logica di tipo autoreferenziale. Il Comune, assieme alle altre
Istituzioni e ai vari poteri forti, vuole rimanere sempre l’unico e ultimo
attore a gestire i principali processi di trasformazione della città. La
partecipazione diventa soltanto una sorta di optional cui fare ricorso quando le pressioni “dal basso” sono tali
da non poter essere del tutto ignorate e il Comune è costretto a concedere
qualcosa, ad andare incontro alle esigenze degli abitanti. Nei casi peggiori il Comune utilizza la partecipazione
come mezzo per catturare consenso.
Anche molte organizzazioni
della società civile si comportano in modo autoreferenziale. Non è raro che
un’associazione o un comitato intenda mantenere separati i tavoli di
concertazione con l’Amministrazione, perché il confronto con altri soggetti su
un terreno comune ne ridurrebbe la capacità di contrattazione diretta. Inoltre avviene
spesso che i contesti partecipativi finiscano per diventare trampolini di
lancio per i loro aderenti che vogliono intraprendere una carriera politica.
Purtroppo l’autoreferenzialità
è presente anche nel Regolamento par
l’attivazione del processo di partecipazione dei cittadini alle scelte di
trasformazione urbana, approvato dal Comune nel 2006. In questo documento
la partecipazione si articola in tre livelli: l’informazione, la consultazione
e la progettazione partecipata. Il primo livello non ha trovato ancora concreta
applicazione nei processi partecipativi reali, anche se il documento riconosce che
l’informazione e la trasparenza sono elementi basilari per qualsiasi buon
governo e rapporto con i cittadini. Il livello della comunicazione colloca il
processo a valle della fase progettuale e lo riduce a una dimensione puramente
procedurale, con forti limitazioni dal punto di vista amministrativo. Infine il terzo livello (progettazione
partecipata) riguarda soltanto i processi di progettazione urbana e non prevede
la costruzione di politiche, di strategie di area vasta, di piani ecc.; inoltre
non è considerato un processo ordinario, ma attivabile solo su specifica richiesta
dei Municipi o del Comune sulla base di criteri stringenti.
Per promuovere una
vera partecipazione a Roma occorre dunque mettere in atto una strategia
culturale di lungo termine che induca il Comune, i Municipi e le organizzazioni
della società civile ad abbandonare la loro autoreferenzialità e adottare nuove
modalità di partecipazione. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto
dal gruppo di lavoro di Carteinregola
che ha redatto recentemente e pubblicato in questo stesso sito un documento
intitolato Linee guida per la
partecipazione - Una proposta per Roma.
I principi enunciati
nel documento rivisitano profondamente l’istituto della partecipazione, che
dovrà evolvere da una dimensione formale di assenso – o, nel migliore dei casi,
di discussione una tantum sugli
oggetti del processo – a un dialogo costruttivo e continuo in luoghi di
interazione dove la comunicazione diventa scambio e apprendimento reciproco.
La speranza dei suoi
autori è che tali principi possano diventare presto il riferimento fondamentale
per redigere un nuovo regolamento della partecipazione per Roma e i suoi
Municipi.
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